Una delle più importanti sentenze in materia bancaria, dell’anno scorso, è stata pubblicata dal Tribunale di Torino in relazione alle commissioni di massimo scoperto: quella sorta di penalità che la banca pretende ogni volta che il conto corrente va “in rosso”. Secondo il giudice piemontese, dopo il 2009 [1], sono sempre illegittime le commissioni applicate dalla banca sui conti scoperti, anche se accettate dal cliente con la firma del contratto.
Le commissioni di massimo scoperto sono state, da sempre, uno dei fronti caldi nella infinita guerra processuale tra clienti e banche, insieme all’usura e all’anatocismo. Dopo che quest’ultima pratica ha subito il definitivo arresto a seguito della sentenza della Cassazione di qualche giorno fa (leggi “Stop anatocismo anche annuale”), anche sul versante delle commissioni di massimo scoperto l’orientamento dei tribunali è a favore dei consumatori. E questo perché, una legge del 2009 [2], per il caso di conti non affidati (ossia senza la cosiddetta “apertura di credito”) [3], prescrive la nullità – in ogni caso – della commissione di massimo scoperto ed il divieto assoluto per la banca di prevedere una remunerazione ulteriore rispetto alla previsione degli interessi. Insomma, stop a costi “occulti” per il correntista, a prescindere dal nome. Infatti, non poche volte, per aggirare il divieto, gli istituti di credito fanno ricorsi a nomi alternativi come “Commissione per lo scoperto di conto”: la sostanza, però, non cambia e il cliente ha diritto al rimborso. Rimborso che si può esercitare con semplice richiesta all’istituto e, in difetto di accoglimento (come purtroppo è probabile che avvenga) attraverso il ricorso al giudice o all’Arbitro bancario finanziario.
La legge, come detto prescrive la nullità della commissione di massimo scoperto (cms) in due situazioni:
– se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a 30 giorni;
– oppure a fronte di utilizzi del conto in assenza di “fido” (o “affidamento”).
La norma, dunque, da un lato prescrive la nullità della cms tutte le volte in cui essa non sia connessa a un effettivo utilizzo del fido e per una certa durata (per un periodo superiore a 30 giorni).
Dall’altro lato prescrive la nullità in ogni caso della cms (dunque anche se connessa a un effettivo scoperto e in funzione di una certa durata dell’utilizzo) nel caso di conti non affidati.
La norma prevede poi la nullità anche delle clausole successivamente introdotte al 2009, anche se denominate in modo differente da quella di cms se continui a trattarsi di remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi, indipendentemente dall’effettivo prelevamento delle somme e indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi (il riferimento è ai conti correnti affidati).
Tale divieto cade nel caso di predeterminazione con patto scritto del corrispettivo della banca per somme effettivamente utilizzate.
Ciò significa che, da un lato, anche per i conti affidati, le clausole, comunque denominate (commissioni di massimo scoperto o, successivamente, commissioni di scoperto di conto), che impongano una remunerazione per la banca, indipendentemente dall’effettivo utilizzo delle somme e dalla durata di tale utilizzo, siano del tutto vietate.
Per i conti affidati, poi, la nullità è evitata nel caso in cui la remunerazione sia ancorata a un utilizzo per un periodo continuativo non inferiore a 30 giorni o comunque sia prevista da parto scritto e con connessione effettiva all’utilizzo del fondo.
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